Mostra di Lorenzo Lotto. Venezia, Palazzo Ducale, 14 giugno - 18 ottobre 1953, n. 86.
Literature
A. Banti, Lorenzo Lotto. Regesti, note e cataloghi di A. Boschetto, Firenze, s.d. (1953), p. 86, n. 101, fig. 195 e tav. IX. Mostra di Lorenzo Lotto. Catalogo a cura di P. Zampetti, Venezia, 1953, pp. 141-42, n. 86. P. Bianconi, Tutta la pittura di Lorenzo Lotto, Milano, 1955, tav. 144. B. Berenson, Lotto. Terza edizione a cura di L. Vertova, Milano, 1955, p. 136 e tav. 243. B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Venetian SchoolI, London, 1957, I, p. 103. M. Seidenberg, Die Bildnisse des Lorenzo Lotto, Loerrach, 1964, pp. 69-70. L'opera completa del Lotto. Presentazione di R. Pallucchini. Apparati critici e filologici di G. Mariani Canova, Milano, 1975, n. 213.
Provenance
Milano, collezione Crespi.
Notes
Where there is no symbol Christie''s generally sells lots under the Margin Scheme. The final price charged to Buyer''s for each lot, is calculated in the following way: 30% of the final bid price of each lot up to and including € 20.000,00 26% of the excess of the hammer price above € 20.000,00 and up and including € 800.000,00 18,5% of the excess of the hammer price above €800.000,00 Pubblicato per la prima volta da Anna Banti e Antonio Boschetto su segnalazione di Mauro Pelliccioli, il dipinto fu esposto nel 1953 in occasione della storica rassegna su Lorenzo Lotto organizzata da Pietro Zampetti al Palazzo Ducale di Venezia. Nuovamente illustrato da Berenson nella terza edizione della sua monografia sull'artista bergamasco, e brevemente commentato dalla Seidenberg in un libro dedicato alla ritrattistica di Lorenzo Lotto, il dipinto sembra poi scomparire dalla letteratura critica sul pittore, con la sola eccezione del catalogo completo delle sue opere edito da Rizzoli nel 1975. Fu certo la stessa inaccessibilità del dipinto, tra i pochi ancora conservati in mani private, e il fatto che la sua immagine fosse affidata alle riproduzioni dei primi anni Cinquanta, a motivarne l'oblio, senza contare poi la mancata identificazione del soggetto ritratto, l'assenza di una data certa e, non ultima, quella di elementi simbolici che si prestassero a una lettura in chiave iconologica del dipinto, secondo l'approccio prediletto dagli studi lotteschi fioriti nell'ultimo quarto del Novecento. Sebbene il restauro conservativo a cui il dipinto è stato sottoposto abbia liberato la superficie pittorica dalle vernici ingiallite che ne offuscavano la lettura, l'iscrizione apposta sulla lettera che il giovane uomo ritratto presenta, e anzi ostenta, nella mano destra, è rimasta purtroppo incompleta e non consente, in assenza di esami ulteriori, di stabilirne l'identità. Sarebbe probabilmente vano, inoltre, tentare di rintracciarla nel 'Libro di spese diverse' in cui Lorenzo Lotto registrava il compenso - quasi sempre inferiore alle sue aspettative - ricevuto dai suoi committenti pubblici e privati per le opere eseguite, delle quali è talvolta riportata una breve descrizione. È probabile infatti che l'esecuzione del nostro misterioso ritratto preceda di alcuni anni le più antiche annotazioni ivi riportate, a partire dal 1538. Sembra infatti pienamente condivisibile, anche se non ulteriormente precisabile, la datazione nella prima metà degli anni Trenta a suo tempo proposta da Berenson e Boschetto e poi ripresa da Zampetti e Pallucchini. I confronti stilistici più convincenti rimandano infatti a un dipinto generalmente situato dalla critica intorno al 1530, il Ritratto di orefice documentato per la prima volta a Mantova nella collezione Gonzaga e poi passato in quella di Carlo I d'Inghilterra, oggi conservato a Vienna, Kunsthistorisches Museum. Pur così lontano dall'intenzione di quel dipinto, in cui la presentazione della figura maschile da tre diversi punti di vista risponde, probabilmente, al dibattito cinquecentesco sul 'paragone' tra pittura e scultura, il nostro ritratto ne condivide la materia pittorica morbida e luminosa, e il segno leggero e preciso che, in entrambi, segna i riccioli bruni dell'uomo raffigurato e ne individua i lineamenti appena ombreggiati dalla barba rada. Non si può non osservare, poi, come l'uomo ritratto nel dipinto ora a Vienna, forse l'orefice Bartolomeo Carpan, e il nostro misterioso personaggio dal mantello rosso abbiano suggerito a Lorenzo Lotto i modelli per alcune figure maschili che appaiono in composizioni di soggetto religioso eseguite nei primi anni Trenta, così da suffragare la datazione proposta. Ci riferiamo, in particolare, alla Sacra conversazione con San Tommaso e Santa Caterina (Vienna, Kunsthistorisches Museum), ove il santo ripete il profilo e la chioma ricciuta dell'orefice; diverse figure sullo sfondo dell'episodio principale della storia di Santa Lucia nella Pinacoteca di Jesi, e quelle in primo piano nella grande Crocefissione di Monte San Giusto sono poi molto vicine a quella del giovane ignoto qui presentato. Non del tutto fuori luogo appare tuttavia il confronto, di natura essenzialmente stilistica, con il Ritratto di uomo con feltro dipinto a olio su carta, forse nel 1541 (già New York, Piero Corsini). Privo di elementi simbolici o di motivi che possano suggerirne una più complessa lettura, il nostro dipinto si pone comunque tra gli esemplari più tipici della ritrattistica lottesca, di cui per primo Bernard Berenson individuava le caratteristiche nella capacità, da parte dell'artista, di cogliere i più sottili moti dell'animo del suo modello pur rispettandone l'intimità, e di presentarcelo nelle sue caratteristiche di uomo, a volte fragile e incerto, invece che nella pompa del suo ruolo sociale. Pur serbando il mistero della sua identità e del suo ambiente di appartenenza, il nostro giovane dal mantello rosso (forse l'unico personaggio borghese del Cinquecento a presentarsi con la camicia slacciata) si impone alla curiosità dello spettatore grazie all'incedere deciso, in parte contraddetto dalla timidezza che indoviniamo nel suo sorriso trattenuto.